Il sole di agosto illumina le acque del Mediterraneo, e nonostante le incertezze legate alla pandemia di Covid-19 che ancora condizionano le nostre vite, per molti di noi questo è il momento di godersi delle vacanze, o quantomeno il riposo di una pausa estiva.
L’estate può anche essere il momento per dedicarsi a letture di ampio respiro, in grado di darci spunti di riflessione e nuovi strumenti per mettere meglio a fuoco il mondo che ci circonda e gli eventi che segnano il nostro tempo. Già la scorsa estate abbiamo avuto modo di segnalare ai lettori del nostro blog alcuni libri per approfondire la conoscenza della storia, della geografia, e delle grandi tendenze geopolitiche che caratterizzano il Mediterraneo, e anche quest’anno abbiamo pensato di continuare con un suggerimento di lettura.
Il Mediterraneo è attraversato da importanti avvenimenti legati tanto alla pandemia quanto a dinamiche interne e internazionali di più lungo periodo. L’emergenza sanitaria si è infatti sovrapposta a numerose sfide politiche, economiche e di sicurezza, come i fenomeni migratori, la difficile transizione politica innescata dieci anni fa dalle “Primavere arabe” – e non ancora conclusa, come dimostrato dai recenti avvenimenti in Tunisia – o le minacce legate alla violenza sanguinaria generata dalle guerre civili in Siria e Libia. Tutte queste crisi hanno tra l’altro creato terreno fertile per spirali di instabilità e forme di terrorismo che hanno interessato direttamente anche l’Europa. A questo quadro già complicato possiamo aggiungere i primi passi della nuova amministrazione statunitense guidata da Joe Biden e le incognite legate alla recente elezione di Ebrahim Raisi alla presidenza iraniana.
Ricostruire i numerosi cambiamenti che hanno interessato il Mediterraneo negli ultimi tempi, così da trovare degli elementi tali da aiutarci a cogliere le tendenze profonde che scorrono al di sotto di questa fase di turbolenza, è un compito difficile ma essenziale. Per questa pausa estiva abbiamo dunque deciso di segnalare ai nostri lettori l’ultimo libro di Gilles Kepel, Le prophète et la pandémie, pubblicato a inizio 2021 dall’editore Gallimard e recentemente apparso anche in versione italiana, presso la casa editrice Feltrinelli, con il titolo Il ritorno del profeta.
Kepel, un noto studioso del Medio Oriente e dell’Africa del Nord nonché un esperto di islam politico di fama internazionale, aveva già pubblicato nel 2018 Sortir du chaos, un interessante resoconto degli avvenimenti principali che hanno caratterizzato la storia del Mediterraneo e del Medio Oriente a partire dalle crisi petrolifere degli anni Settanta. Con questo nuovo libro, Kepel si propone di aggiungere nuovi elementi a questo quadro, concentrandosi sugli eventi che hanno segnato l’evoluzione dello scacchiere mediterraneo negli ultimi anni. Tra questi spicca ovviamente l’impatto della pandemia di coronavirus, che ha rappresentato sia un’emergenza sanitaria sia una sfida economica notevole, soprattutto alla luce del crollo dei prezzi del petrolio dovuti al drastico rallentamento degli scambi internazionali e dell’attività economica. A ciò si possono aggiungere la trasformazione da museo in moschea di Santa Sofia a Istanbul, in Turchia (segno di una sempre più marcata svolta “neo-ottomana” del presidente tuco Recep Tayyip Erdoğan), gli “Accordi di Abramo” che hanno marcato la normalizzazione dei rapporti tra Israele e alcuni Stati della regione e i recenti attentati terroristici che hanno tragicamente colpito l’Europa, e in particolare la Francia.
La principale chiave di lettura per la comprensione delle dinamiche attuali nel Mediterraneo e nel Medio Oriente, secondo Kepel, va cercata nella linea di frattura fra due raggruppamenti che, in maniera più o meno ufficiale, si stanno consolidando in due schieramenti contrapposti in maniera sempre più diretta. Da una parte troviamo infatti un’“Intesa” definita dagli accordi di Abramo, che, come osserva Kepel, hanno fatto emergere un’alleanza di fatto tra Israele e gli Emirati Arabi Uniti, alla quale si sono rapidamente aggiunti anche il Bahrein, il Marocco e il Sudan. La colla che unisce questo schieramento, oltre agli interessi economici, sta nella volontà di contrastare le ambizioni e l’influenza regionale dell’Iran. Pur non facendone parte in maniera ufficiale, anche l’Arabia saudita rappresenta un ulteriore tassello fondamentale di questo blocco. La definizione di questa “Intesa” è stata inoltre fortemente incoraggiata e attivamente assistita dagli Stati Uniti negli anni dell’amministrazione di Donald Trump.
L’“Intesa di Abramo”, nota Kepel, si trova a fronteggiare un’“Asse” che ruota attorno all’Iran – potenza che mira a estendere la sua influenza puntando sulle forze politiche e sulle milizie sciite della regione – nonché alla Turchia e al Qatar, attori regionali accomunati da una marcata collaborazione con la rete transnazionale creata dal movimento islamista noto come “Fratellanza Musulmana”. Sebbene, come già osservato, la principale preoccupazione dei leader dell’Intesa di Abramo è l’Iran, attualmente la vera “star” dell’Asse Iran-Turchia-Qatar-Fratelli musulmani risulta essere Erdoğan, che con le sue recenti iniziative – in particolare il colpo di mano su Santa Sofia e i forti contrasti con il presidente francese Emmanuel Macron, tanto su questioni di sicurezza mediterranea quanto sulla questione della “laicità” e del rapporto dello Stato francese con la comunità musulmana – sta diventando un personaggio molto apprezzato dai fondamentalisti islamici e da molti jihadisti sia in Medio Oriente e Nord Africa sia in Europa. Questa contrapposizione, secondo Kepel, sta definendo le dinamiche delle principali sfide geopolitiche e dei conflitti in Medio Oriente e Nord Africa.
Questa chiave di lettura può ad esempio dare una prospettiva interessante per comprendere le sfide politiche che si trova ad affrontare l’Egitto, un paese sulla linea di fronte fra Asse e Intesa per almeno due motivi. In primo luogo, per via della difficile contrapposizione interna fra il regime militare di Abdel Fattah al-Sisi – sostenuto dalle monarchie del Golfo e in generale ben visto dall’Intesa – e i movimenti islamisti che hanno giocato un ruolo fondamentale nel determinare il cambiamento politico del paese a seguito delle Primavere arabe. L’Egitto si trova inoltre al centro della contrapposizione tra Asse e Intesa anche dal punto di vista geopolitico, a causa della sua importanza strategica in relazione alle risorse energetiche del Mediterraneo orientale. Sempre secondo Kepel, la Libia – che sta attualmente affrontando un difficile e precario tentativo di riconciliazione dopo gli anni di frammentazione, instabilità e guerra civile che hanno seguito la caduta della dittatura di Muammar Gheddafi nel 2011 – rappresenta una questione cruciale nello scacchiere mediterraneo, e racchiude tutte le sfide legate alla contrapposizione fra l’Asse composto da Iran, Turchia, Qatar e Fratelli musulmani (che ha sostenuto il governo di Tripoli) e l’Intesa di Abramo (che ha invece dato appoggio al governo rivale con sede a Bengasi) .
Un altro contributo fondamentale di Le prophète et la pandémie è l’analisi di quello che Kepel definisce il “jihadismo di atmosfera”, ovvero la più recente evoluzione della spirale di radicalismo e violenza inaugurata negli anni Ottanta in risposta all’invasione sovietica dell’Afghanistan, e ridefinita prima da al-Qaeda e poi dall’Isis/Daesh. Se infatti al Qaeda si è caratterizzata per un modello jihadista “verticale” e l’Isis/Daesh ha sfruttato un modello “reticolare”, avvenimenti recenti vanno ricondotti secondo Kepel a un nuovo modello – il “jihadismo di atmosfera”. Il meccanismo di questa nuova forma di jihadismo parte secondo l’autore dagli “imprenditori della collera”, che, sfruttando i social media, concentrano l’attenzione su un determinato episodio di attualità che può essere distorto al fine di creare una situazione di odio a sfondo politico-religioso. Quando la campagna mediatica diventa virale, aumentano esponenzialmente le probabilità che qualcuno – senza una precisa relazione con coloro che hanno innescato la spirale di odio – decida di passare alla violenza, in molti casi con conseguenze tragiche. Secondo Kepel, questa dinamica spiega ad esempio l’assassinio di Samuel Paty in un comune dell’hinterland parigino o l’attentato di Nizza lo scorso ottobre. In generale, il concetto di “jihadismo di atmosfera” contribuisce anche a dare elementi per un dibattito più informato su fenomeni legati al terrorismo attuale come i “lupi solitari” o il “radicalismo istantaneo”. Secondo Kepel, per contrastare efficacemente il “jihadismo d’atmosfera” e preservare il carattere laico e unitario di un paese come la Francia non basta la giustizia penale – che interviene solo ex post – ma è necessario portare avanti anche una battaglia etica in nome dei valori repubblicani e contro il “separatismo” che rischia di frammentare la società su linee identitarie o religiose.
Rispetto a Sortir du chaos, il nuovo libro di Kepel si concentra più sull’immediato e meno sul lungo periodo. I due volumi sono dunque in qualche modo complementari, e il secondo può anche essere visto come un’integrazione o un aggiornamento rispetto al precedente lavoro. Alcuni aspetti dell’analisi di Kepel, possono generare dibattiti e discussioni. Ad esempio, la premessa di un crescente disimpegno statunitense nei confronti del Mediterraneo e del Medio Oriente stride con il ruolo importante dell’amministrazione Trump nel favorire la formazione dell’Intesa di Abramo o con la continua pressione militare di Washington nei confronti di Teheran, come dimostrato dall’operazione che ha portato all’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani nel gennaio 2020. Tuttavia è chiaro che il ruolo di Washington nella regione sta cambiando, e, come nota Kepel, l’Unione europea non si è rivelata finora in grado di sviluppare politiche adeguate a rispondere alle sfide politiche e di sicurezza che si stanno delineando in questa fase di transizione. Anche l’idea di un asse che raggruppa in una sorta di alleanza la Turchia e l’Iran è forse ancora prematura, anche considerando le diverse priorità strategiche e geopolitiche che caratterizzano i due paesi. Al tempo stesso l’analisi di Kepel ci aiuta a notare una crescente convergenza tra Anakra e Teheran, e il ruolo chiave del Qatar come anello di congiunzione in questa dinamica.
I vari capitoli di Le prophète et la pandémie sono densi e ricchi di informazioni e digressioni relative al contesto politico o alla storia recente dei paesi presi in considerazione. Questo approccio rende a volte la lettura poco scorrevole, ma al tempo stesso ha il grande merito di rendere l’analisi molto completa e accessibile. Il libro non è provvisto di note e non ha una bibliografia, ma le fonti sono citate chiaramente e permettono al lettore di svolgere ulteriori approfondimenti. Il testo è inoltre integrato da un’ampia e interessante collezione di mappe – preparate da Fabrice Balanche – e da una cronologia – curata da Sarah Jicquel.
I grandi pregi di Le prophète et la pandémie sono il tempismo e la capacità di delineare un valido filo conduttore, in grado di individuare connessioni tra i molteplici e variegati eventi che hanno caratterizzato il Mediterraneo e il Medio Oriente negli ultimi anni rendendolo, nelle parole dell’autore “la regione più esplosiva del pianeta”. La ricostruzione offerta da Kepel è utile e dettagliata, e il quadro di analisi è molto originale è interessante. Le prophète et la pandémie rappresenta insomma un’ottima lettura sia per chi si interessa a tempo pieno di Mediterraneo e Medio Oriente, sia per chi vuole iniziare ad avere un’opinione più informata e consapevole delle dinamiche che interessano la regione.
Diego Pagliarulo
[…] normalizzazione dei rapporti fra i due paesi. Tutto ciò rafforzerebbe ulteriormente quella che Gilles Kepel ha definito l’“Intesa di Abramo”, ossia la cornice di cooperazione fra Israele e paesi arabi […]